Il Negrettino della memoria

Ragazzi d’un tempo raccontano storie legate a ricordi di gioventù, il Negrettino era un protagonista indiscusso di quei momenti spensierati e pertanto ancora vivissimo malinconico ricordo in alcune memorie.

Tra boschi e calanchi, tra pievi e poggi, tra terra e cielo a contemplare albe e tramonti vi era sicuramente il Negrettino, uva nera, vino rustico ma soprattutto, nel bicchiere di ognuno. Insieme ad altri celeberrimi autoctoni locali come i bianchi Montuni e Alionza, il Negrettino rappresenta la memoria dei nostri nonni. Bastava un piccolo bicchiere di vino anche allungato con acqua, e un pezzo di pane con la mortadella o due fette di salame per consumare una meravigliosa merenda anche perché dopo le lunghe partite a pallone nelle vie impolverate, il richiamo della mamma per fare uno spuntino era un momento solenne.

Tanti ricordi che a volte si fanno carico anche di importanti momenti di vita vissuta. Ricordi evocati ogni volta che il naso finisce dentro un bicchiere o che se ne avverte il gusto, pensieri che corrono lontano, celati dietro a porte che, a volte, non si vorrebbero mai aprire ma si spalancano inequivocabilmente, aperte da quelle chiavi che solo i sensi sanno risvegliare.

In realtà ancora un po’ di confusione di chi sia veramente questo vino c’è ancora, sarà quello bolognese o quello ravennate? Eccellente quello imolese ma il modenese non è da meno.

Nel 1937, Marescalchi A. e Dalmasso G. nelle loro “Storia della vite e del vino in Italia” convengono che il Majolo descritto da Pier de Crescenzi nel ‘300 sia il Negrettino.

Ancor prima, nel 1851, il Maini lo confondeva con il Terrano, una varietà autoctona friulana conosciuta anche in Romagna con cui fanno la Cagnina.

Nel fascicolo XII del Bullettino Ampelografico del Ministero d’Agricoltura, Industria e Commercio del 1879 il Negrettino viene descritto come un’uva per abbondante produzione in quanto resistente all’oidio, ma non da vino buono, benché apprezzato nella zona.
Era il vitigno a bacca nera predominante delle colline felsinee mentre in pianura lo erano l’Uva d’Oro e la Pomoria.

Già in quegli anni, che precedevano il disastro della fillossera, si commentava altresì che la viticoltura felsinea “...ha il gravissimo difetto dell’inconsulta molteplicità dei vitigni, piantati promiscuamente ed a caso, bianchi e neri…” sappiamo anche che venivano vinificati insieme, quando si credeva che i frutti fossero maturi, con una certa fretta per evitare furti e con la beata ignoranza che non faceva loro credere nell’alto livello che si poteva raggiungere nella vinificazione per singola qualità.

Confusa nei primi del ‘900 anche con il Canaiolo nero e con il Moretto di Alessandria il nostro Negrettino, insomma non ebbe pace, vollero tutti imparentarlo con altri vitigni, addirittura si arriva sino al 2000 quando un errore di sinononimia lo affianca alla romagnola Uva Longanesi. Per non dar troppo adito alle leggende, come quella del Pinus Laeto, diciamo subito che con il termine Negretto o Negrettino erano e sono tutt’oggi definite, forse per comodità, diverse uve a bacca scura, ma ora, nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, c’è il Negrettino bolognese, nome comune Negretto, in dialetto Naigärtén.

Nel panorama promiscuo, sicuramente complesso e incostante del vino bolognese un punto di riferimento è stato rappresentato di certo da questa uva, dal suo vino e dalle storie che ruotavano attorno al bicchiere.

Non è un vino che in purezza può raccogliere grandi favori ma sapientemente trattato in vigna e vinificato con alcune accortezze ha tutte le intenzioni di regalarci gradevoli sensazioni.

Ha una buona produzione soprattutto costante, caratteristica che insieme alla resistenza all’oidio lo fece rientrare nelle grazie dei produttori; pensiamo che nel bolognese, nei primi anni del secolo scorso, era presente in più della metà degli ettari vitati.

Nel calice si evidenzia il colore rosso rubino intenso, quasi impenetrabile, il naso è complesso, pervaso da aromi di amarena e frutti neri, spezie verdi come timo e rosmarino. Il sorso, ampio, è caldo ed avvolgente, i tannini sono piuttosto rustici ma non invadenti, la sapidità accennata accompagna la piacevole freschezza, non di certo importante. La chiusura, nel caso di passaggi in legno, evidenzia spezie dolci, noce moscata, cacao e una lieve pungenza agrumata.
Elegante e sinuoso, poco vibrante ma piacevole.

Con il suo corpo piuttosto esile lo abbinerei a salumi tipici come mortadella o salame rosa, delicati e profumati; gramigna alla salsiccia o polpette alla bolognese con piselli e per chiudere un gran bollito misto alla bolognese dove qualche salsa di accompagnamento non guasterebbe.

Chissà se potremmo raccontare anche noi vicende di vita legate ad un vino in particolare, il Negrettino ne ha trascinate fino a noi. Quale altro vino potrà fare altrettanto?

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