Il curioso Centesimino

Ma il primo amore si può dimenticare? Si possono dimenticare quelle sensazioni e quelle emozioni? Potremo mai scordare i primi attimi in cui i battiti del nostro cuore hanno risuonato all'unisono con quelli di un’altra persona magari di fronte a noi, a pochi centimetri, fino a toccarsi? Fino a baciarsi?


Forse di quei momenti, rimarranno per sempre con noi anche profumi, aromi e luci. Quel preciso momento lo rivivremo per sempre.
Ma il primo amore resta, potente, enorme, universale dentro ognuno di noi tracciando la pista per future esperienze, e illuminando la sterminata foresta delle emozioni.
Se la stessa cosa dovesse succedere con un vino. Il primo vino?
Certo, non quello che imbottigliavo con il bisnonno in cantina quasi 50 anni fa, ma quello che mi ha fatto da pathfinder, da apripista, per tutti gli altri. Quello che mi ha aiutato ad aprire la porta di un mondo meraviglioso dove, come in un amore, emozioni e sensazioni si rincorrono, si accavallano, si intrecciano, si fondono per crearne altre e altre e altre ancora. Poteva capitarmi un banale vino?
No, mi capita un vino con una storia, affascinante. Curiosa.


Questa storia inizia, per me, qualche anno fa durante una bevuta ignorante presso un'antica enoteca di Ferrara, ora detta Al Brindisi, ma nel 1435, anno della sua fondazione era nominata Hostaria del Chiuchiolino. Dalla carta dei vini scelgo un vino rosso di cui non avevo mai sentito il nome, Centesimino. Chiedo all'oste di cosa si trattasse e lui, un po' annoiato, mi racconta una breve favola, per me quasi incomprensibile, fillossera, ampelografia, barbatella, Faenza e via così discorrendo. Il calice lo consumai con una nuova filosofia, non era vino rosso, era un vino rosso, era il Centesimino. Questa storia prosegue poi in una cantina a Bertinoro, quasi per caso, vengo a discutere con il Signor Massimo, di vino, sentori, retrogusti, solfiti, raviole e Centesimino. Si il Centesimino allora non era solo una breve favola ma poteva contare su un fondo di verità. Ero entusiasta, esaltato da quelle parole che potevano confermare una verità. Quasi come se venissi a sapere dove Babbo Natale va a comprare gli stivali neri o il fieno per le renne.
Raccolgo tutte le informazioni e lentamente, ma non troppo, mi innamoro di questa storia, di questo vino.
Ma ogni storia ha un inizio, o almeno un punto di partenza.
Iniziamo con il raccontare che la comparsa della fillossera a metà dell'800 causò la quasi estinzione degli impianti vitati in tutta Europa.
Si scoprì poi che alcune piante di vite americana avevano radici resistenti al parassita maledetto, la fillossera infatti attacca l'apparato radicale della vite e si decise di utilizzare piante europee innestate su radici americane resistenti.
A questo punto tutta la viticoltura secolare europea che aveva attraversato le epoche classiche, il medioevo e il rinascimento fu cancellata per sempre.


Ora però ci spostiamo a Faenza dove negli anni '30 del secolo scorso la viticoltura presenta ancora segni delle devastazioni del parassita; un signore acquistò nel 1937 un palazzo in centro alla cittadina romagnola dove in un cortile interno, protetto da mura c'era una vite, antica, scampata alla fillossera.
Una rarità, una perla brillante nell'oscurità. Arriva la guerra, altre devastazioni, poi negli anni Cinquanta il signore preleva delle marze dalla vigna del suo palazzo di Faenza e le mette a dimora nella sua proprietà sulle prime colline faentine, nel Podere Tarbato, nelle terre di Oriolo dei Fichi.
Il signore si chiamava Pietro Pianori, detto Centesimino, probabilmente per una sua inclinazione al... risparmio.
La pianta creebbe bene e trovò forse un terroir congeniale infatti dagli anni Sessanta viene allevato con discreta continuità. Per molto tempo fu chiamato "Savignòn Rosso", con accento romagnolo, nulla a che fare con il francese Sauvignon Rouge e fino a pochi anni fa si pensava che la vite fosse un Alicante Faentino di origine iberica ma dei recenti studi del DNA ne hanno certificato la assoluta unicità andandolo ad aggiungere nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite escludendo qualsiasi parentela con l'Alicante di Spagna, uno pseudonimo della Grénache.
Il raro vino Centesimino, dal nome del suo "salvatore" è ora allevato complessivamente su 20 ettari con una produzione di circa 50.000 bottiglie ma in previsione di incremento. Ad Oriolo dei Fichi sono 7 i produttori che si prendono cura di proseguire il lavoro del Pianori e ognuno ci regala le sue personali interpretazioni di questo vino così particolare e unico.
Non voglio qui elencare i produttori di Oriolo dei Fichi e dei pochissimi altri sparpagliati nella Romagna ma dobbiamo sapere che alcuni preferiscono dare un taglio decisamente secco a questo vino altri ne fanno una versione con un leggero residuo zuccherino, la versione Passito regala vere e profonde emozioni, i rari tentativi di spumantizzarlo, in rosa, pare raccolgano diversi favori.
Il Centesimino giovane è un vino di un bel colore rosso rubino con riflessi violacei che dona suggestivi richiami floreali, frutta matura e di spezie. Oltre ai canonici frutti rossi, si riconoscono una bella rosa, geranio, liquirizia e pepe bianco. Quando invecchia e le sfumature risultano granate, la morbidezza si esalta, i frutti diventano confetture, se fa passaggi in legno il corpo si sviluppa, i terziari vanigliati fanno capolino ma si potrebbero perdere le belle giovanili, a volte sfacciate, fragranze. Una buona acidità e tannini mai aggressivi lo sostengono in un discreto equilibrio. Le versioni Spumante rosè appaiono disinvolte, amichevoli adatte per divertenti aperitivi ma la versione Passito non ci lascia indifferenti, al sorso ci apre, espandendole, le sensazioni come fossero rinchiuse, segregate in una scatola e il vino togliesse il coperchio per liberarle. Questo affascinante Centesimino, infine, ci rivela una buona struttura e una persistenza degna di nota.
In base alle sue età è da abbinare a diversi piatti, sempre piuttosto strutturati a base di carni come paste al ragù, arrosti o formaggi a media stagionatura, le versioni che fanno legno le vedrei con selvaggina da pelo più che da piuma, carni saporite e formaggi stagionati. Il passito muore con il cioccolato come una buona fetta di tenerina.
Il primo amore è diventato una storia importante e curiosa, ora ne stappo una bottiglia e sublimo mentre trascorro del buon tempo a sorseggiarlo, rinnovando ad ogni sorso quell'amore non ancora passato, magari dentro i muri di una calda dimora circondato da, chi il cuore, te lo fa battere ma per altre ragioni.

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