
Una pianta che conta 50 anni d'età sui terreni di Francesco Vezzalini
L’umiltà è quella virtù che pone, colui che ha il dono di possederla, a non sentirsi mai superiore, a non giudicare e a non criticare, a riconoscere con profonda consapevolezza i propri limiti. Queste sono alcune doti, ma gli si può riconoscere la mancanza di superbia, la distanza da eccessive sicurezze.
L’umiltà è il fondamento sul quale probabilmente si poggiano molte altre virtù che, senza essa, cadrebbero nel difetto, nell’imperfezione.
L’umiltà è oggi alquanto dimenticata sebbene decantata e richiamata, non trova posto nella moderna vita sociale. Del resto, nella sua radice etimologica, "humus", terra, si insinua la sua natura ad essere calpestata.
La persona umile riesce a vedere i propri limiti e, riconoscendoli, tende a migliorarsi, a trovare in sé stesso la forza di affrontare le avversità con coscienza, ben sapendo dove può arrivare e come operare per raggiungere lo scopo prefissato.
Con il raggiungimento di questo virtuoso sentimento, la persona ha cognizione del Sé, del proprio posto nel mondo, non abbassa mai la testa di fronte a nessuno e non permette altrettanto alla controparte.
Calpestare la terra appunto, vivere di quel rapporto atavico che lega l’uomo alla terra, al suolo. La terra che ci dà i frutti e ci accoglierà per l’eternità. Quella stessa terra a cui riconoscere rispetto e pretenderlo, a cui dobbiamo cure per essere curati.
Poche persone mi hanno trasmesso questa sensazione, pura, dalla quale traggo un grande insegnamento e beneficio, persone che non sanno probabilmente di possedere umiltà, questa virtù che, come diceva Mario Soldati, chi la possiede crede di non averla.
Francesco Vezzalini della Casetta Belvedere è un lavoratore della terra e vignaiolo dei Colli Bolognesi, molto rispettoso dell’ambiente da cui è circondato, interlocutore del suo territorio al quale risponde con autentica umiltà. Ecco che in Francesco ritrovo ogni somiglianza con l'individuo che ha consapevolezza di sé stesso e del posto che occupa nel mondo, questo ragazzo poi produce vini di eccellente qualità, di genuina fattura e li racconta con il fare di chi non si pone su piedistalli. La quercia secolare, che dalla sua considerevole altezza pare controlli tutto e tutti, le erbe spontanee che danno il nome ai suoi vini, la poiana che sorvola superba i suoi vigneti, il gheppio che preda tra gli alberi da frutta, le vigne e il bosco, sono tutti elementi che il vignaiolo racchiude nel suo universo, dove tutto è connesso, legato indissolubilmente. E così deve essere.
Questo vignaiolo resta distante dalle chiassose dichiarazioni di una eventuale eccellenza nelle proprie bottiglie, dalla decantazione di prodotti piuttosto omogenei e che solo la sottile sfumatura cromatica o aromatica distacca dagli altri.
Francesco trasmette quella purezza d’animo che contraddistingue i suoi vini, come se le sue bottiglie raccontassero il vignaiolo e non il contrario. Quando ti versa il vino per l’assaggio, non si pone mai con saccenza o supponenza, ma ascolta e racconta con tono basso come l’ha prodotto, con estrema competenza tecnica, ricca di dettagli utili a scoprire il percorso che l'ha portato a realizzarlo. Sarà poi il vino che arrivando dentro di noi svela il carattere mite e umile del suo creatore, dove nulla invade la quiete circostante.
Seduti attorno ad un tavolo Francesco racconta la sua storia e il rapporto con la terra che inizia fin da bambino quando aiutava i nonni e lo zio nei lavori di campagna. Crescendo, la sua passione per quello che la terra dona e per la salvaguardia della biodiversità, lo induce a prendere le redini dell’azienda e da semplice lavorante ne diviene il titolare. In vigna e in cantina sperimenta e mette in pratica tutti gli insegnamenti che lo zio gli ha tramandato. Di Pignoletto possiede vigne che hanno fino a cinquant’anni d’età, sinonimo di estrema cura della terra che calpesta. Oggi, dopo quindici vendemmie in proprio e tanta esperienza pregressa, realizza vini estremamente interessanti benché la sua curiosità e lo spirito d’iniziativa lo inducano a proseguire nelle sperimentazioni.
Il primo vino che mi viene servito è il Galium, un Pignoletto in purezza rifermentato in bottiglia della vendemmia 2022.
Sorprende il colore giallo paglierino intenso con riflessi brillanti, nonostante sia un vino con un sedimento e una possibile velatura, risulta molto luminoso. Il naso è pervaso da note di frutta a pasta bianca matura e gialla, fiori sui quali spicca una camomilla. Il sorso, piacevole e sapido, trova note di pera, fieno e fiori di campo. La chiusura è persistente, elegante. Un eccellente prodotto che, in prossimità delle feste, abbinerei a un antipasto di pesce come un'insalata di polpo o una scodella di tortellini in brodo.
Il secondo vino è un’eccellente Barbera, Dianthus 2021.
Francesco realizza questo bel vino rosso con cura e attenzione, dopo 3 settimane di macerazione, follature e rimontaggi, viene travasato in acciaio, affina un anno in legni piccoli esausti e passa in bottiglia, dove rimane almeno altri 3 mesi.
Il calice colorato di rosso rubino con riflessi violacei, esprime un naso interessante dove i frutti rossi e neri giocano con i fiori di rosa e viola mammola senza dimenticare spezie scure. Il sorso, fresco e sapido, vellutato e rotondo, danza tra lingua e palato dove i frutti divengono confetture e ne rimane un lungo ricordo. Da sorseggiare con carni rosse, anche elaborate come arrosti e brasati, salumi e formaggi semi-stagionati.
Secondo Francesco, i vini devono contenere non solo il succo fermentato del frutto della vite, ma devono essere completati dal ricordo dell'ambiente in cui vengono assemblati, realizzati e conclusi. Sostenitore della tecnologia a basso impatto, progetta i suoi prodotti con meticolosa attenzione, dove anche l'erba spontanea che cresce lungo i filari sarà parte di ciò che assaggeremo e ci farà emozionare dei suoi profumi.
Tutto è importante, tutto fa parte di tutto e l'umiltà di comprendere questo fa di Francesco un eccellente interprete dei Colli Bolognesi.
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