Grappoli di Barbera quasi pronti per la vendemmia
Questa volta non parliamo di una leggenda come nel caso del Pinus Laeto, il Pignoletto, della sua fantomatica e trita descrizione di Plinio il Vecchio.
Quando chiacchieriamo di Barbera il pensiero corre tra le dolci colline piemontesi e la accostiamo a luoghi come il Monferrato, all’Albese e l’Astigiano.
Non se ne hanno notizie prima del XVIII secolo e come spesso accade, viene preso in causa l’agronomo bolognese del XIII secolo Pier de’ Crescenzi attribuendogli ricerche e catalogazioni. Dobbiamo però pensare che trarre informazioni ampelografiche da trattati di 700 anni fa è cosa assai rischiosa se non impossibile. Termini, riferimenti, aggettivi, colori e forme sono descritti in maniera differente da come le intendiamo ora con il tangibile rischio di prendere decise cantonate.
Le vere origini di questa varietà sono avvolte ancora nel mistero. Ed è alquanto fitto.
Definito quindi dalla cultura popolare autoctono del Piemonte, la Barbera ritrae il vino di questa regione per eccellenza, era il vino della tavola quotidiana di ogni famiglia e oggi rappresenta la metà della produzione vitivinicola di quella regione. A differenza del Barolo, vino pregiato delle ricorrenze importanti, prodotto in piccole quantità e da regalare, la Barbera era il vino più diffuso, importante e più umile.
Dai bric piemontesi, nei secoli scorsi, la Barbera scende attraverso gli Appennini, si ferma nell’Oltrepò pavese dove concorre nel completare il vino Sangue di Giuda e Buttafuoco, arriva sui Colli Piacentini, di Parma e giunge sino ai Colli Bolognesi dove probabilmente, già nell’800 per supportare la produzione, si ferma e si diffonde con ottima ambientazione e adattamento. Prende le sue strade e diventa uno dei vini rossi di riferimento dei nostri colli che tutti conosciamo. La Barbera, sulle felsinee colline, trova terreni ideali sui quali nutrirsi, clima giusto e ultimamente mani sapienti che lo imbrigliano a modo.
Si potrebbe parlare quasi di autoctono, viste le numerose vendemmie alle spalle e soprattutto, per l’ottimo risultato che riesce ad esternare anche se, per potersi definire tale, sarebbe opportuno ragionare in termini culturali e non temporali.
I termini, spesso coniati senza una ricerca o riferimenti storico-culturali, entrano nella discussione, nel linguaggio comune e si propagano restando latenti di informazioni anche basilari, semplici, che possano aiutare a ricostruirne una genealogia.
Ma Barbera sarà femminile o maschile? Come pronunciate il nome di questo meraviglioso prodotto? Vino dal colore alquanto carico dona decisi aromi di frutti rossi come ciliegia e mora, floreale quanto basta ed elegantemente speziato. I suoi tannini non sono mai troppo indiscreti, esuberanti, la sua innata acidità lo rende un vino particolarmente scattante. Alcuni vigneron preferiscono farlo affinare solo in acciaio per conservarne probabilmente le sue innate caratteristiche e preservarne maggiormente il frutto, altri prediligono passaggi più o meno lunghi in legni grandi o piccoli, sempre per attenuare la grande vitalità che esprime. Quasi a domarlo, a smussargli il bucolico vigore.
Sui nostri colli la Barbera viene consumata maggiormente nella versione frizzante o spumante, quasi a competere, sulle tavole quotidiane con il vicino Lambrusco.
Nel disciplinare dei Colli Bolognesi si può fregiare della menzione Riserva solo se affinata almeno 36 mesi dei quali 5 in bottiglia. Diversi produttori felsinei lo imbottigliano in eccellenti versioni, gli assaggi consigliati possono essere notevoli.
La sua acidità e il frutto decisamente considerevole, lo rendono ideale per portate piuttosto saporite di terra: pasta al ragù, risotti al tartufo? oppure arrosti di carni rosse, brasati e stufati, formaggi a pasta semidura. Per un vino non affinato in legno potremmo scegliere ad esempio un vitello tonnato. Per rimanere in zona cosa ne dite di un Colli Bolognesi Barbera Riserva con una lasagna? Alla bolognese con sfoglia tassativamente verde!
Aggiungi commento
Commenti