- alessio atti
Il dimenticato Montuni, vino di tutti.
Nei percorsi tortuosi o meno della nostra vita compaiono spesso termini, parole, con riferimenti a cose o personaggi di cui non si conosce, in realtà, alcunché o piuttosto pochino. Capita a volte di ritrovarci nel bel mezzo di un discorso e sentir pronunciare da qualcuno una parola che per noi al momento non ha significato e che probabilmente ne ha avuto, fin'ora, molto poco siccome non la conosciamo.
Alcune frasi, alcuni vocaboli, evocano in noi momenti passati, come se in quel preciso istante ci riaffiorassero dal profondo della memoria situazioni e attimi di una vita vissuta tempo fa. Questo, certo, accade anche quando ci giungono al naso aromi e profumi, quando assaggiamo sapori e quando siamo immersi atmosfere particolari, con determinate luci oppure quando ascoltiamo una musica specifica. Molte cose ci rimandano ad altre, molte cose richiamano altre, catapultandoci improvvisamente in un mondo che non c'è più evocando, a volte, pensieri e ricordi.
Qualche tempo fa, non molto, mi è capitato di dare finalmente un connotazione ben precisa ad un termine che per me fino a quel momento era solo un susseguirsi di suoni, sapevo a cosa si riferiva ma non avevo idea di cosa potesse significare. Montù o Montuni.

Ebbene, era un nome che avevo percepito molti anni fa nei discorsi tra anziani in un preciso punto del dialogo, in cui ricordavano la loro vita, le loro vicende da bambini, i loro ricordi, che io vedevo davanti ai miei occhi come un film in bianco e nero, a volte con i difetti delle pellicole di vecchi film, con macchie e rappezzi. Questi attempati signori, divertiti, discorrendo in dialetto, tra una risata e un altra ci guardavano con un moderato disprezzo, osservavano come una generazione come la mia fosse cresciuta senza i morsi della fame, freddo invernale da combattere con poco e magari qualche bomba che pioveva dal cielo.
Ricordo un cugino che da San Lazzaro di Savena si recava presso la Cantina Sociale di Argelato e non se ne andava senza una scorta di Montuni, non era un bevitore seriale ma ne comprendeva il valore, lo confrontava con altri vini bianchi e lo apprezzava particolarmente. Con cadenza quasi settimanale, per qualche mese di 40 anni fa, il termine Montuni lo sentii formulare diverse volte per arrivare poi a silenziarsi completamente e non sentirlo pronunciare più per diversi decenni. Un caso?
Sicuramente, in questi lustri ho letto Montuni su qualche rara etichetta, di più o meno dimenticate bottiglie, su impolverati scaffali di negozi ed enoteche datate ma, come un fulmine a ciel sereno, questo vino mi è riapparso con prepotenza non appena ho infilato il naso in questioni enologiche interessandomi ad antiche varietà.
In effetti quei signori che pronunciavano il nome di questo vino rammentavano, con decise note malinconiche, i rientri dalle scuole nei freddi, grigi, umidi, affascinanti inverni padani, ricordando i momenti in cui si rincasava da scuola e ad accoglierli c'era un brodo caldo, povero ma caldo e un bicchiere di vino bianco, perché c'era bisogno di calorie, di sostegno. Quel vino era, in quasi ogni caso, un Montù.
Ma questo nettare che ha accompagnato tante generazioni prima della mia, questo vino quotidiano, questo onnipresente compagno di ogni piatto che il Signore abbai mai voluto concedere alle tavole di famiglie numerose, in bianco e nero, il Montù che vino sarà mai? Montù o Montuni? E' un vino bianco che viene prodotto dalle omonime uve nelle zone pianeggianti e pedecollinari che vanno dal modenese al bolognese sconfinando nel ravennate.

Non abbiamo certezze storiche, documenti scritti ma questo vitigno è presente nelle pianure felsinee da diversi secoli e io, che ci abito, mi ha probabilmente sempre circondato, colorando le mie scorrerie in bicicletta da bambino tra filari, fossi e sentieri tra i campi. Il Monti, relatore dell'Accademia Nazionale di Agricoltura nel 1875 ne scrive chiamandolo Montocello poi catalogato nel Bollettino Ampelografico nel 1879.
Incuriosito quindi più che mai, accetto l'invito e partecipo ad una cena tra addetti ai lavori in cui si presentavano versioni di Montuni di 4 realtà diverse tra Bologna e Modena, tra pianura e prima collina.
In abbinamento ad eccellenti e azzeccati piatti preparati dal Ristorante Tramvia di Casalecchio di Reno abbiamo assaggiato Montù dell'Emiia 2019 Az. Agr. Fondo Grande di Calderara di Reno BO, Reno Montuni Frizzante Terre Felsinee 2018 della Cantina Sociale di Argelato BO, I Monticelli Reno Montuni 2019 dell'Azienda Agricoila Clò di Savignano sul Panaro MO e Amarcord Montuni 2011 di Giorgio Erioli. Era presente un grande conoscitore di vino bolognese, decano dei sommelier delle città, ebbene, a volte le leggende si mescolano alla realtà e talvolta accade il contrario ma il maestro sommelier Manfredi, ben consapevole del leggendario equivoco, mi racconta che il nome del vino Montù potrebbe derivare dalla forma dialettale bolognese che storpia la frase molt'ù, molta uva, riferito alla vigoria della varietà. Non ci sono testimonianze scritte e accetto quello che il maestro Manfredi mi racconta e insieme sorridiamo a questa affermazione, ben sapendo che non ha fondamenti storici.
Altre voci di esperti vignaioli mi dicono che potrebbe avere legami genetici con vitigni come l'abruzzese Montonico bianco o il calabrese Mantonico, il vino dei profeti, ma i miti si accettano perdendosi nel tempo, nei racconti.

Negli ultimi decenni il Montuni subendo la sorte di alcuni vitigni storici e autoctoni ha purtroppo lasciato il posto ad altre varietà pur essendo una cultivar resistente alle malattie, di ottima produttività e anche di una discreta eleganza.
La DOC Reno è la denominazione di riferimento di questo vino e sovente viene raccontato come un vino senza una reale consistenza e di scarsa personalità, seppur fresco e minerale; insomma un vino di scarso pregio. Certamente in questi ultimi 40 anni la vitivinicoltura e la cultura del vino in queste zone è certamente mutata, nelle mie terre ha avuto un considerevole movimento verso la qualità in ogni senso, sia nella produzione che nella conoscenza.
I produttori di vino con sicuri sguardi avanti ma distratti da imposizioni di mercato e provetti consumatori attenti più all'etichetta che al contenuto della bottiglia mostrano chiaramente un moderato imbarazzo, un ghigno sincero e innocuo solo nel pronunciare il nome del vino Montuni, come fosse quasi il vino dell'ignoranza e del non saper bere, il vino di un retaggio passato dove il prodotto era poca qualità ma tanta quantità e forse il Montuni è uno di quei vitigni che rappresentano maggiormente questo errato pensiero.
Tanto per ricordare, in passato il vino era generalmente un assemblaggio di più uve, talvolta fìno a 10 e succedeva anche che le maturazioni non erano ottimali per ogni vitigno oppure qualche filare di uva a bacca rossa finiva agevolmente in una lavorazione di bianchi. Il Montuni capitava quindi sovente in blend probabilmente insieme ad Albana, Alionza, Trebbiano, Pignoletto e altre uva bianche che non elenco. A parte l'approssimazione nelle raccolte e nelle pigiature, nel controllo delle fermentazioni e negli imbottigliamenti, questi uvaggi avevano il vantaggio di rendere i vini altamente equilibrati, nei quai non mancava nulla.
E' necessario ora trovare attenti produttori, quasi visionari, perché si possa sentire parlare di questo vino al di fuori di schemi preordinati e le sorprese vi stupiranno.
Il Montù, a me piace dire invece Montuni, è un vino che potrebbe essere considerato l'erede bello del Trebbiano, con un suo preciso stile, sapienti vignaioli mi bisbigliano, con far sicuro, che questo vino diventerà il nuovo bianco emiliano-romagnolo, che ha le caratteristiche per diventare un grande vino.

La maturazione piuttosto tardiva ci consente di fare vini con una struttura invidiabile e la possente acidità ci permette di tenere in cantina il vino più a lungo, bella combinazione no? La sapidità potrebbe, in talune zone, risultare veramente imperiosa e qualche vigneron lo sta sperimentando proponendo delle spettacolari versioni spumantizzate e sembra risultino piuttosto bene.
Non sono più oramai molti gli ettari vitati dove il Montuni sia presente ma lentamente lo si sta reimpiantando proprio per quelle caratteristiche e quelle innate potenzialità di cui sopra. Ascoltando alcuni produttori scopro che, chi lo possiede, lo raccoglie a fine estate per non cadere pericolosamente in improvvisi marciumi dovuti ad un'eccessiva umidità tipica delle zone in cui è allevato oppure per produrre vini leggeri, semplici. Certo, è una soluzione, ma se le virtù possono essere altre, allora abbracciamole ricerchiamo calici ricchi in finezza, eleganza e struttura.
Il vino Montuni ha generalmente un colore giallo paglierino chiaro, al naso offre un interessante bouquet che potrebbe essere poco intenso ma ci racconta sentori delicati di fiori gialli e frutta come pesca o pera e sensazioni erbacee di fieno appena tagliato. Al sorso, mai prorompente, spicca la sua acidità e una consistente mineralità che in alcune interpretazioni si bilancia con un ricercato residuo zuccherino appena accennato per renderlo più gradevole e adatto ad ogni palato e piatto.
Sarei curioso di assaggiare versioni più sfacciate, meno rispettose e sperimentali di questo vino che, con la sua spessa buccia potrebbe raggiungere ottimi arrangiamenti, con mecerazioni poco più lunghe. Ha enormi potenzialità, l'acino di medie dimensioni con notevole pruina si potrebbe prestare ad attacchi di botrite per realizzare muffati di grande pregio mentre gli acini più piccoli hanno già una ottima concentrazione zuccherina. Ha la caratteristica di rendere fini ed eleganti gli assemblaggi in cui è presente, sarebbe interessante avvertirne la struttura quasi mai manifestata, il suo corpo nascosto, magari scoprire le sue rotondità e goderne anche del suo perfetto equilibrio abbinato ai tanti piatti al quale si adatta senza vergogna.
Vorrei assaggiare un metodo classico di questo vino per coglierne le potenzialità e abbinarlo con di piatti di pesce delle cucina romagnola.
Il Montuni ha bisogno di sostenitori, di appassionati che credano in lui, di vignaioli desiderosi di ottenere un prodotto dimenticato, oggi quasi raro, ma che regalerà senza dubbio ottime sorprese. Questo vino ha necessità di entrare nei cuori dei distributori, negli scaffali delle enoteche e nelle carte dei ristoranti.
Il Montù o Montuni, come preferite, ha bisogno di noi, per riscoprire le emozioni dei nostri nonni e per farci sentire parte della tradizione. Oggi più che mai per proporre una novità per i meno attempati e riscoprire un grande vino.