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Le isole euganee e alcuni loro vini

Sarà perché ho passato 10 mesi e mezzo a Padova che adoro questa città.

Ero vestito con una mimetica verde e ogni mattina alle otto in punto assistevo all'alzabandiera. Di quel periodo tra camerate, esercitazioni e turni di guardia l'unica vera, tangibile consolazione era recarsi in centro a cercare un posto dove cenare o fare lunghe passeggiate con i commilitoni. Persone indimenticabili.

Il centro città era un susseguirsi di meravigliose vie, vicoli, piazze e splendidi palazzi intrisi di storia, di tempo.

Dopo il congedo, quel centro cittadino, che adoravo, che mi scaldava l'anima anche nelle nebbiose sere invernali, l'ho rivisto più vivo, più ricco di localini intriganti e vetrine eleganti, ho riscoperto zone che accompagnarono i miei 20 anni, le ho riviste con occhi diversi. Dove andavo a cercare trattorie, più economiche che altro e pizzerie ora cerco enoteche e osterie, le più antiche, con piatti assolutamente padovani, autoctoni tipici, bigoli con sarde, al ragù d'anatra, il gran bollito, la celebre torta pazientina e altri spettacolari piatti.

Anche perché i tortellini in brodo a Padova non penso di ordinarli.

Al ritorno da una licenza o da qualche ora di permesso, tornavo in caserma a Padova con il treno delle 22. Superata Rovigo, le luci all'orizzonte si alzavano sembravano costellazioni bianche e arancioni, alcuni di questi brillanti erano disposti in fila, altri

sparpagliati qui e là.

Quando invece si transitava in pieno giorno, dal finestrino della carrozza del diretto Venezia-Roma delle 14:10, poco dopo le zone industriali della periferia sud padovana il susseguirsi di capannoni e complessi industriali grigi, tristi e sporchi sfumava nelle alture dei Colli Euganei, coni verdi, armonici, morbidi. Bellissimi. La curiosità di conoscerne angoli, sentieri, centri abitati incastonati tra i boschi cresceva, viaggio dopo viaggio.

Ricordo un'esercitazione di orientamento, a fine estate, si marciava a tappe forzate completamente affardellati proprio su quei colli che tanto avevano ispirato i miei sogni. Fatica, sudore e imprecazioni accompagnavano la mia pattuglia su e giù tra ripidi pendii e boschi di castagni e querce.

Dopo quella mia unica e singolare esperienza, prima di ritornare, puramente per caso, sui Colli Euganei passarono circa 10 anni durante i quali non mi dimenticai mai di loro, di quei brevi momenti di passaggio in treno che mi portavano a casa o in caserma.

Il mio appuntamento con i Colli non doveva tardare e già qualche anno fa studiavo la loro storia, la loro formazione e conformazione, chi ci visse, chi li rese famosi e, neanche a dirlo, cosa si produce e cosa si mette in bottiglia.

Ma per capire meglio questo insolito e particolare ambiente dovremmo fare un salto indietro nel tempo di diversi milioni di anni.

I Colli Euganei sono il risultato di 2 distinte fasi eruttive, la prima avvenuta tra i 150 e i 33 milioni di anni fa e la seconda tra i 33 e i 30 milioni. I fossili ritrovati in uno strato compreso tra i 90 e i 55 milioni di anni fa, ci fanno capire che il mare poteva avere una temperatura media di 25°C, come quello tropicale per intenderci.

La seconda fase eruttiva innalzò i coni vulcanici più alti fuori dall'acqua e l'aspetto era quello di un piccolo arcipelago poi, terminato il periodo di eruzioni, per diverse decine di milioni di anni un graduale ritiro dell'acqua creò un ambiente paludoso salmastro e 2 milioni di anni fa, i fiumi che portavano enormi masse di detriti dalle Alpi alzarono definitivamente i suoli andando a creare la Pianura Padana. Gli ultimi millenni hanno visto fasi erosive e antropiche creando quello che possiamo vedere oggi.

E' di 35.000 anni fa la prima testimonianza della presenza umana.

Euganei, Veneti, Etruschi, influenze greche, i Romani e i Longobardi hanno contribuito a plasmare il territorio con insediamenti più o meno importanti. Poi il florido e prospero periodo carolingio e l'accorpamento nel territorio padovano. Francesco Petrarca che passerà gli ultimi anni della sua vita ad Arquà e, vista la morfologia dei territori euganei, il proliferare di monasteri e luoghi eremitici con inevitabili riverberi sulla vita sociale e culturale del luogo durerà diversi secoli.


A proposito... Francesco Petrarca nacque nel 1304 “allo spuntar dell’alba, il lunedì 20 luglio, nella città di Arezzo e nel borgo dell’Orto”. Precursore dell'umanesimo e considerato uno dei fondamenti della lingua italiana soprattutto con la sua opera più celebre "Il Canzoniere" . Diversi viaggi, Avignone, Parma, Bologna, Milano... nel 1361 ci fu una nuova epidemia di peste ed il Poeta abbandonò la città di Sant'Ambrogio per recarsi prima a Padova, accolto da Francesco I da Carrara, e poi a Venezia, dove ottenne il canonicato di Monselice. Nel 1369 Francesco il Vecchio donò, forse, al Poeta un appezzamento di terreno ad Arquà. Il Vate visse tra Padova ed Arquà, assistito dalla figlia Francesca, fino alla morte, avvenuta verso la mezzanotte del 18 luglio 1374.
Francesco Petrarca

I numerosi castelli di epoca medievale e tardo-medievale vengono lentamente sostituiti da altri edifici simbolo di un nuovo potere, dal XVI secolo infatti tutto il territorio padovano entra a far parte della ricca e sfarzosa Repubblica di Venezia. Le zone boschive vengono sfruttate utilizzando i legnami a favore della flotta navale della Serenissima e la nobiltà veneziana trova nuove dimore su questi colli così ricchi di materie prime.

Il XIX secolo e dopo la caduta di Venezia, l'immagine che potremmo avere dei Colli Euganei è di povertà e miseria, malattie colpiscono vite e ulivi e tecniche agricole assai antiquate non favoriscono uno sviluppo adeguato, solo le terme riescono a dare un'alternativa economica. Sul finire dell'800 gli altolocati signori patavini sceglieranno le dolci colline come residenze estive, soggiorno e villeggiatura. Le gravi crisi economiche dei primi anni del '900 affondano ulteriormente la qualità della vita, la superficie boschiva raggiunge il minimo di sempre, le condizioni sono veramente precarie.

L'amministrazione padovana corre ai ripari, incentiva l'allevamento della vite, più redditizio della coltivazione di cereali, incentiva il turismo, grazie elle terme e ripristina sagre paesane, veicolo per la divulgazione e la conoscenza dei prodotti tipici euganei, di conseguenza si sviluppano reti stradali e si potenzia l'attività di estrazione nelle cave.

Ma arrivano le guerre e tra bombardamenti e devastazioni, questa sferzata volta al miglioramento subisce un duro colpo di arresto, anzi si ritorna ad una situazione difficile e incerta, moltissime abitazioni sono senza servizi essenziali. Tutto il Paese deve ripartire, ricostruirsi, riconciliarsi e i Colli Euganei subiranno una notevole trasformazione in questi decenni di fine secolo e millennio. Quelle prove di ripartenza di qualche decennio prima iniziano a dare i frutti. La qualità dei prodotti euganei cresce e si diffonde, quella geniale idea di incentivare l'allevamento della vite porterà nel 1969 alla costituzione della DOC Colli Euganei. Il vino qui lo si fa da prima dell'arrivo dei Romani, come da reperti ritrovati e l'introduzione di vitigni internazionali come Merlot e Cabernet Sauvignon sono da ricondurre a scelte di nobili signori che avevano, a metà '800, sui Colli le loro residenze.

La particolare conformazione, l'ottimale esposizione al sole e le continue brezze hanno dato a diversi l'opportunità di accasarsi, adeguarsi e trovare un ambiente ideale.

L'Adriatico e le Alpi non sono lontane, elevate escursioni termiche donano ai vini aromi piuttosto esuberanti, la zona meridionale dei Colli racchiude in se ogni caratteristica del tipico clima mediterraneo con una vegetazione di ulivi, mandorli, salvia, rosmarino, ginestre e orchidee spontanee. I versanti settentrionali dei Colli invece esprimono un clima più alpino con castagni, pungitopo e diverse specie di funghi.

Immaginiamo quindi che tipi di vino troveremo in soli 250 km quadrati, dai vini di sole ai vini di luce. I terreni poi, vista la varietà geologica, possono essere assai diversi, da marne vulcaniche friabili che hanno dato vita terreni fertili e profondi, a sedimenti marini che hanno creato grandi vene calcaree e roccia disciolta contribuiscono a dare complessità, struttura e potenza a quegli stessi vini che, ancora in frutto, subiscono escursioni termiche importanti ed esposizioni ottimali.

Nella parte meridionale dei Colli Euganei e più precisamente ad Arquà Petrarca e a Baone, da cinque generazioni, fa la famiglia Cardin alleva vite, fa vino e lo fa bene.

E' stato necessario capire il percorso che l'umanità ha vissuto qui, su questi vulcani spenti circondati da antichi mari caldi e dalle condizioni precarie che la vita ti riservava.

Il tramandarsi di saperi e segreti del mestiere non è sempre sufficiente, per raccogliere le preziose cose del passato servono anche volontà, caparbietà, costanza, tenacia e doti innate come coraggio, creatività e voglia di migliorarsi. Giorno dopo giorno, vendemmia dopo vendemmia, bottiglia dopo bottiglia. Se poi a questo blend aggiungiamo anche conoscenza, tecnica e una buona dose di prospettiva che vino verseremo nei calici? Un banale vinello o un estratto di territorio e sapienza?

Arrivato davanti alla cantina Terra Felice mi viene incontro Elena, la quinta generazione di vignaioli di questa famiglia. Tra Arquà e Baone, 10 ettari tra Merlot, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Pinot Nero e Chardonnay. L’azienda è condotta con papà Graziano affiancati da un piccolo staff. Felice era il nome del nonno di Elena che è stato capace di trasmetterle tutto quel sangue necessario a fare di lei una vera donna del vino.

Ci sediamo al tavolo tra le botti e si respira un profumo particolare, legno e pietra, silenzio e attesa.

Elena mi racconta della loro storia e che anni fa si faceva quantità e meno qualità, che le viti qui sui Colli Euganei impiegano anche 6 anni per darti i primi frutti utili per fare vino perché su questi terreni le radici devono lavorare, e tanto.

Le rese sono basse, 40-50 quintali per ettaro, con una pianta si fa una bottiglia, questa è una regola. Basso supporto chimico in vigna, massima cura nelle potature ed estrema attenzione nella raccolta, esclusivamente manuale e siccome la composizione del terreno fa si che l'acqua non venga si ricorre all'utilizzo di irrigazione a gocce, unico orpello tecnologico in vigna.

La fiera signora del vino parla delle sue uve come di figli, ai quali prestare amorevoli cure e attenzioni e senza esitare appoggia sul tavolo ogni bottiglia che la rende orgogliosa. a partire dal primo cru aziendale, Chardonnay 2019, un bel 13% di alcol con sentori di frutta esotica, fine ed elegante, una chiusura discretamente lunga sostenuta da freschezza e sapidità. Lo berrei volentieri insieme a una frittura di gamberi rossi di Mazara del Vallo in pasta fillo.

Il secondo calice è già rosa corallo scuro, il naso è un insieme di piccoli frutti rossi di bosco maturi, il palato si inchina a una controllata acidità, al frutto rosso quasi in confettura e ad una mineralità esaltante. Da non aspettarselo dal Monte Ricco Rosè 2017, un Pinot Nero con 2 ore di macerazione sulle bucce che fa un anno di acciaio e dorme 18 mesi in bottiglia, belle sensazioni. Da abbinare a un antipasto di culaccia di Zibello e nuvole di Grana Padano 24 mesi.

Il Pianoro 2014 è un uvaggio composto da Merlot al 60% e il restante da Cabernet Sauvignon. Il Merlot a Terra Felice è la varietà più allevata ed è la base dei tagli bordolesi aziendali, per questo vive di una particolare cura in vigna con potature verdi mirate per una buona insolazione, una ottima ventilazione, la scelta della quantità di grappoli da preservare e il controllo maniacale della perfetta maturazione. Dopo 3 mesi in acciaio con frequenti rimontaggi e follature, Merlot e Cabernet Sauvignon riposano in legni separati per 12 mesi. Solo dopo questo periodo si decide come assemblarli e riposeranno altri 12 mesi in tonneaux da 500 litri di rovere francese con tostatura medio-leggera per amalgamarsi e conoscersi meglio poiché dopo passeranno insieme, in bottiglia, tutta la vita. Il colore rosso rubino ci invoglia a mettere il naso nel calice per trovare quei frutti rossi e neri maturi, anche in confettura, che potevamo attenderci, la complessità aromatica viene completata da spezie e note balsamiche. Il sorso, molto intrigante e caldo, 14%, è pieno ed avvolgente, i tannini poderosi ma mai sgarbati si fanno prender per mano dalla potenza del Cabernet, la mineralità espressa, sostenuta da una freschezza sottotraccia, affila leggermente un vino assai morbido ed equilibrato. Aggiungo elegante e lungo. Perché non degustarlo in abbinamento a una faraona ripiena al forno con rosmarino e pepe e gocce di gel al basilico.

Il Merlot aumenta la dose e arriva al 90% con un 10% di Cabernet Sauvignon in Altavia 2016, un bel rosso che passa 13 giorni in acciaio con due rimontaggi al giorno e 20 mesi in tonneaux. Una notevole consistenza che esprime frutti rossi maturi, ciliegia sotto spirito, con note erbacee, terziari evidenti, sandalo, cuoio, caffè e vaniglia su tutti. La giusta alcolicità, l'avvolgenza, la morbidezza sono smorzate da una notevole acidità e da un tannino ben dosato. Discretamente persistente, armonioso e sofisticato. Da abbinare a un buon risotto con bigoli al ragù di capriolo o un Asiago semistagionato.

Il secondo uvaggio in purezza aziendale è un Pinot Nero, ho assaggiato il 2015 e non me lo sono dimenticato. Elena lo ama definire il portabandiera di Terra Felice ed è una deflagrazione di aromi, emozioni, brividi che ti lasciano senza parole, frutti rossi maturi, mirtilli, confettura di amarene e prugne nere, pepe nero. Il passaggio di 18 mesi in legno grande completa il bouquet con sentori di cioccolato e vaniglia.

Al sorso la trama tannica è morbida, il calore e l'acidità si bilanciano, la morbidezza veste l'eleganza e la finezza di questo Pinot euganeo. Un inchino al portabandiera di Terra Felice da accostare a un filetto di manzo in salsa di Pinot Nero con uva passa e pepe nero in grani e perché no ad un petto d'oca affumicato.

Elena, non esita a versarmi nel calice il vino che ritiene la vera espressione della sua azienda, si tratta del blend che attendevo assaggiare, metà Cabernet Sauvignon e metà Cabernet Franc, sono impaziente, quasi emozionato, sicuramente curioso.

Il Cabernet 2015 che mi viene proposto, come i rossi precedenti, sviluppa un bel 14% di alcol e mi aspetto un altro bel rosso caldo, il vino colore rosso rubino carico quasi impenetrabile ruota nel calice con una interessante consistenza, il calice pesa e si sposta ad ogni rotazione. C'è sostanza, ossatura, muscolo. La raccolta avviene a piena maturazione, questo prodotto lo si fa solo in annate ottimali con piante che hanno dai 15 ai 20 anni poste su terreni calcarei e rivolti a sud. In tonneaux di rovere francese da 500 litri riposa sonni tranquilli, evolve domato e guidato per uscirne 27 mesi dopo ben preparato a diventare un eccellente bottiglia. Il ventaglio di aromi è notevole ma ben definito, pungenti spezie nere si intersecano a frutti rossi maturi, il palato è pervaso da una notevole morbidezza, i tannini sono ben presenti, morbidi come le colline che fanno da madre a questo meraviglioso prodotto. Caldo affusolato, rotondo, intrigante, non lascia il cavo orale facilmente, la chiusura è lunga e invoglia al prossimo sorso. Un vino per importanti portate di carne rossa come un anatra al forno con riduzione di Cabernet o contemplando gli occhi della persona amata davanti ad un camino acceso.

Elena mi ha decisamente sorpreso, la carrellata di internazionali ha davvero reso l'idea della qualità che si può ottenere con uvaggi del genere, alcuni più facili, altri meno.

Terra Felice è davvero un luogo di pace e serenità dove i tempi della natura scandiscono l'orologio biologico anche degli esseri umani che lì abitano e vivono rispecchiandosi nei vini da loro prodotti.

I Colli Euganei, lo so per certo, mi regaleranno altri momenti bellissimi e con Elena non è certo un addio ma un arrivederci a presto perché le bottiglie acquistate non avranno, tra le mia mani, lunga vita.

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