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I grandi piccoli Colli Bolognesi - Balli

Aggiornamento: 23 set 2021

Un viaggio nel viaggio. La scoperta e la consacrazione di giovani vignaioli, speranza di un futuro, conferma del lavoro che si sta svolgendo e risultato degli sforzi del passato.


Ci sono giovani più giovani e giovani un po' meno giovani ma sempre con un passato piuttosto corto e un lungo futuro davanti. Ci sono giovani vignaioli, sui Colli Bolognesi, che probabilmente non hanno nemmeno vissuto le vicende, non di cronaca ma di passione, che pervadevano queste dolci colline pochi anni or sono. Ci sono giovani per i quali la fase di crescita e sviluppo è stata fin da subito una zona di luce che, difficile da raggiungere, non tutti hanno avuto ancora il piacere di vedere. Non sono figli d'arte, anzi alcuni di loro hanno subìto inizialmente anche qualche ostruzione da parte della famiglia, la quale prudenzialmente, li esortava a intraprendere sì la strada agricola, ma non tra filari di vite. Altri sono stati sostenuti e appoggiati.

Fatto sta che oggi, sulle colline di Bologna, troviamo un eterogeneo gruppo di vigneron di ogni età, epoca e periodo, da quelli con le rughe sulla fronte, calli sulle mani, decine di vendemmie sulle spalle e idee ben chiare a quelli con poche rughe e pochi calli ma con tanta creatività e voglia di fare bene. Con idee non meno chiare e brillanti.

Questo ultimo gruppo di produttori, i più giovani, trasmettono un vero e proprio amore per la loro terra e per il loro lavoro, per quello che fanno magari anche inconsapevoli, beata gioventù, di che tipo di eredità si son fatti carico, di che testimone hanno preso tra le mani. Non è un'inconsapevolezza imprudente e sfacciata ma un reale ingenuo coraggio e vivaddio è un morbo che colpisce ancora e spero contagi sempre.

Intanto sui Colli Bolognesi, come in tutta la Penisola, un gruppo di ragazzi sta lavorando in una direzione ben precisa, difficile e ambiziosa ma che potrà dare enormi soddisfazioni a loro stessi, come premio per la caparbietà, l'audacia, la continuità che dimostreranno e all'intera comunità di vignaioli felsinei che potranno avere dei fulgidi fari, da qui a diversi decenni, che faranno loro da guida, da orientamento e da approdo.

La cosa che mi sorprende alquanto, a parte il talento imbottigliato ogni annata, è la profonda umiltà che dimostrano, il distacco da ogni forma di orgoglio e riparo da ogni riflesso di risonanza mediatica. Spesso non rispondono nemmeno ai messaggi e devi telefonargli, più volte. Rispondono solo se non sono tra i filari, su un trattore, in cantina, a potare, a sistemare, a pulire, a raccogliere, a riparare attrezzi, a parlare con clienti, a sfoltire, a pigiare, a travasare e a riposare un po'.

Perché è necessario ricordare sempre che il vino che ci troviamo nel calice non è solo una spremitura di uva e mosto fermentato ma il quoziente di decine e decine di decisioni prese e rimedi messi in atto magari all'ultimo minuto, di scelte, di meteo, di progetti, di speranza, di temperatura, di pioggia e di sole, di prove, di potature, di gelate improvvise, di esperienza, di cernita, di coraggio, di raccolta, di terreno. Di terroir e di umanità.

E non è tutto qui, a mettere un po' di adrenalina manca il fattore caso e soprattutto bisogna rendere conto al socio di maggioranza, che tu lo voglia o meno, l'ambiente, quello che ti circonda, quello che se decide di rovesciarti addosso una grandinata omerica a metà agosto ti farà piangere, quello che se decide che non farà scendere dal cielo una sola goccia d'acqua da giugno a settembre di farà preoccupare, quello a cui bisogna guardare dritto negli occhi e misurarsi con lui ogni santo giorno e che ringrazieremo di poterci dare, se tutto va bene, alla fine del sentiero, il nostro vino.

I vignaioli di tutto il mondo conoscono bene tutti questi ingredienti ma se non vivesse in ognuno di loro la perpetua scintilla di una cauta audacia, di un sfrontato rispetto non farebbero mai vino ma raccoglierebbero barbabietole.

Uno di questi vignaioli con poche rughe ma calli sulle mani e una innata fottuta voglia di fare un buon prodotto è Alessio Balestri, Balli per tutti.

Per poterlo incontrare ci siamo dovuti sentire telefonicamente almeno 9-10 volte, poi all'undicesima ci siamo accordati. O era la tredicesima?

Alessio viene dal bancone di un'osteria, ottima scuola per imparare cosa cerca l'avventore, il dialogo con il cliente, la gestione delle bottiglie. poi diventa per 6 anni cantiniere di un produttore dove affina il suo sapere. Ma Balli ha un desiderio, direi più un sogno, rendere un vino come il Pignoletto una bevuta di prim'ordine nel panorama italico del vino, cambiarne la percezione, mutarne il destino.

Abbiamo visto come altri produttori abbiano un simile obiettivo ma per Alessio è il principale, la madre di ogni meta, l'unica cosa per la quale conta lavorare in cantina.

L'idea di questo ragazzo, di per sè, è semplice, nella quale però convivono ambizione e prospettive di duro lavoro.

Alessio inizia a vinificare le uve da qualche filare di un terreno di famiglia in garage ma ben presto si rende necessaria una cantina, con la richiesta di più bottiglie crescono le produzioni, Balli ha bisogno di altra uva e la acquista da quella stessa azienda che gli affidò la cantina poco prima.

Mater artium necessitas qualcuno diceva qualche decina di secoli fa, quasi un "Fare di necessità virtù" e probabilmente il giovane Balestri ha sposato questo proverbio latino e trova l'uva mancante per riempire le sua bottiglie.

Il vigneron oste decide allora di andare a vendemmiare le uve da altri produttori, compra e sceglie le uve migliori per il proprio vino, per il prodotto che vuole ottenere e vinifica le uve, che sceglie e raccoglie, in una cantina di un collega vignaiolo che gli mette a disposizione parte delle attrezzature.

Alessio mi accoglie in una piovosa sera di inizio giugno, siamo tra le colline di Castello di Serravalle e la luce pare quelle di un pomeriggio novembrino, quella che annuncia castagne e funghi. Ma siamo in giugno e la stagione dei vignaioli è appena entrata in una fase piuttosto dinamica.

Su un tavolo vengono disposte 4 bottiglie, tutte di Pignoletto, la Barbera è finita, per fortuna aggiungo, perché significa che il vino piace, Alessio è riuscito a vuotare la cantina e colmare calici di fortunati bevitori. Sto pregustando il percorso che il vignaiolo Balli ha scelto stasera e so già che potrà essere una scalata verso l'alto, non tra le nevi ma verso luci paradisiache, verso divine illuminazioni.

Le etichette sono riproduzioni di dipinti che artisti emergenti realizzano dopo avere assaggiato il vino, trasmette sulla tele sensazioni ed emozioni che la pervadono con il risultato di dare una, direi ben riuscita, rappresentazione del vino.

La prima bottiglia che si inchina verso il mio calice è il Pignoletto Rifermenteto in Bottiglia 2018, 10 mesi sui lieviti, sboccato alla volée e ricolmato con lo stesso vino.

Vendemmia manuale con selezione dei grappoli a uve quasi in sovramaturazione. Il bel colore giallo paglierino carico con bei riflessi dorati ti anticipa il naso complesso, intenso, i frutti bianchi e gialli maturi fanno da anticamera a un ricco bouquet floreale, lievemente erbaceo, la tenue velatura creata dai lieviti si vede e si sente, se agitiamo, con garbo la bottiglia mettendoli in sospensione aggiungeremo complessità, ampiezza, fascino, charm.

Il piacevole sorso, intenso, suadente, ci racconta sempre di frutta matura, la bolla morbida estrae sensazioni eteree, impalpabili. La freschezza e la sapidità, in dosi ricche, evidenziano una certa predisposizione del terreno a darci vini mai troppo rotondi, grassi.

Un rifermentato in bottiglia che definirei fine ed elegante, non è cosa da tutti i giorni.

Il secondo calice, Alessio, me lo colora di giallo paglierino con riflessi verdognoli, la bolla fine e fitta non nasconde un metodo classico di Pignoletto con 12 mesi di permanenza sui lieviti. Le uve vengono raccolte a piena maturazione e il degorgement è sempre alla volée. Il naso è fine con sentori di frutti bianchi e fiori altrettanto bianchi ma meno marcati del precedente vino, più ricercati. Questo brut nature nasconde, tra una bolla e un'altra, una discreta acidità, una lama che corre ai lati della lingua e ti si fionda giù, dritto nell'anima, il tutto mitigato da una bellissima morbidezza.

Sarei curioso di lasciare un altro anno in bottiglia questo vino, cela una potenzialità inconsueta.

Il Colli Bolognesi Pignoletto Superiore 2017 DOCG prevede due raccolte, una alla terza settimana di settembre e una seconda verso la metà di ottobre. 10 giorni di macerazione carbonica e pressatura a grappolo intero su lieviti indigeni per il 90% delle uve e macerazione tradizionale per il restante 10. Pigiodiraspatura con lieviti selezionati e 6 mesi di contatto con le bucce. Prima della bottiglia serve una leggera chiarifica in quanto dopo tanto tempo la massa fecciosa potrebbe risultare notevole.

Il risultato, Alessio, lo vorrebbe morbido e per questo della feccia fine rimane in bottiglia proprio per donare a questo Pignoletto una certa smussatura.

Il colore giallo paglierino intenso ha riflessi brillanti e alla rotazione una certa consistenza si sente. Il naso è complesso con sentori quasi balsamici, resinosi. Al palato, morbido e rotondo, avvolge tutto il cavo orale e non scivola via. La discreta acidità supportata da una sapidità poco timida svela un velo di tannino dovuto alla lunga permanenza sulle bucce e graspi. Potrebbe risultare un vino duro ma non lo è. Una bella bevuta, particolare e ben ricercata sicuramente inaspettata.

Chiudiamo gli assaggi con la bottiglia Interpretazione 18, oro liquido nel calice e 14,5% di alcol. La curiosità è tanta e le aspettative pure, Balli lo costruisce, lo assembla e lo interpreta con assoluta cura e creatività. La vendemmia si svolge in tre fasi, la prima, di fine settembre dà il 20% del blend e fa 10 giorni di fermentazione macerativa per amplificare aromi e fragranze, la seconda a ottobre, in più riprese, ci regala il 60% dell'assemblaggio, la terza, forse la più importante e che chiude il montaggio, verso metà novembre, quando la muffa nobile ha già attaccato l'acino del Pignoletto e ci donerà un tocco di morbidezza.

L'assemblaggio è semplice e il risultato? Un bouquet ampio e complesso, affascinante, un abito da sera per una prima importante. Il sorso intenso ed elegante sottolinea le note di frutta gialla matura, ricordi tropicali e cedro candito, un lieve balsamico chiude la bevuta, lunga e suasiva. Un'acidità ben dosata ma indispensabile per bilanciare questo vino ben costruito e architettato.

Per questo Balli riscuote buone quote di successo, per la creatività, ardita ma non irriverente, audace ma non insolente, perché i Colli Bolognesi hanno anche bisogno di questo, di aria nuova, di sperimentazioni e prove, di analisi e fallimenti, di cadute e rialzate, di appigli e approdi, di schiaffi e calli sulle mani. Alessio Balestri incarna proprio questo.

Saluto il ragazzo con già un altro appuntamento in tasca, al tavolo mancava l'unico rosso, la Barbera. che non vedo l'ora di versarmi nel calice e farmi un'altra chiaccherata con il mio omonimo. Cin.


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